La storia di Filippo

Ciao a tutti,

mi chiamo Filippo e l’11 giugno ho compiuto 6 anni. Un traguardo importante per me, forse più grande di quanto possiate immaginare.

Sono nato con una rara malattia genetica, autosomico recessiva e – almeno ad oggi – non curabile. Si chiama… faccio fatica persino a pronunciarla: Mucopolisaccaridosi di tipo 2, conosciuta anche come Sindrome di Hunter.
Mi hanno spiegato, in parole semplici, che dentro al mio corpo c’è una “variazione” in uno dei miei geni. Questa mutazione impedisce al mio organismo di produrre un enzima fondamentale, che serve a ripulire ogni cellula dai residui tossici del metabolismo, che ogni giorno si accumulano. Immaginate tante piccole gocce di sporco che si depositano ovunque, giorno dopo giorno, fino a far crollare tutto. Le mie cellule, senza quell’enzima, non riescono a difendersi. E se non succede qualcosa di importante per fermare questo processo… tra 10, forse 15 anni, il mio piccolo corpo non riuscirà più a resistere.

Ad oggi, l’unica cura possibile è una terapia chiamata enzimatica sostitutiva (ERT). Ogni settimana, per la mia salute, devo ricevere un’infusione con un farmaco, appunto sostitutivo dell’enzima mancante, – una lunga flebo che dura tra le 3 e le 5 ore. Sono costretto a rimanere a casa, con la mia infermiera, cercando di essere forte. Non è facile, ma lo faccio con coraggio. La parte più dura? Questa terapia purtroppo non mi può guarire. Serve solo a rallentare l’avanzare della malattia. Rallenta il degrado delle mie cellule cerebrali, delle ossa, dei tessuti, degli organi… in pratica del mio corpo intero. Ma la malattia continua ad accompagnarmi, un passo dietro di me.

Io però non voglio mollare. E con l’amore di chi mi sta accanto, continuo a lottare. Per ogni anno in più. Per ogni sorriso. Per ogni giorno che posso vivere da bambino, sognando un futuro che io, e solo io, voglio riscrivere.
Per fortuna, i miei genitori non si sono mai arresi. Con determinazione e amore infinito, hanno cercato ovunque una speranza. E grazie a una piattaforma mondiale in cui sono riportate tutte le ricerche esistenti per ogni tipo di malattia, ovviamente se presenti, (www.clinicaltrials.gov), sono riusciti prima a trovare, e poi a farmi entrare – io, primo e finora unico bambino europeo – in un programma sperimentale di terapia genica della mia malattia.

Da maggio 2023, seguiamo questo percorso presso il Benioff Children’s Hospital di Oakland, nella baia di San Francisco, California. Un viaggio non solo geografico, ma anche emotivo e pieno di incognite. In parole molto semplici, un neurochirurgo ha iniettato nel mio liquido cerebrospinale un nuovo vettore con il gene corretto, con la speranza che il mio corpo riesca a sostituirlo e che, anche nel cervello, le mie cellule possano iniziare a produrre da sole quell’enzima che fino ad oggi il gene mutato mi fa mancare.

È un gesto pieno di speranza, ma anche di grande coraggio. Perché sì, questa è una sperimentazione. Nessuno può sapere davvero se funzionerà, né come andrà a finire. Ma io posso raccontarvi una cosa bellissima: in questi due anni la mia malattia non è peggiorata. Anzi… ho migliorato alcune delle mie abilità: nel linguaggio, nei movimenti, nella mia mente. Un piccolo grande miracolo che ci fa credere, ogni giorno di più, che questa strada possa essere quella giusta.

Il percorso, però, non è stato tutto rose e fiori. Per entrare nella sperimentazione, la mia famiglia ha dovuto affrontare ostacoli enormi: burocratici, legali, assicurativi, economici. Il primo anno l’ho vissuto quasi interamente in America – sette mesi lontano da casa. Il secondo anno ho fatto cinque viaggi andata e ritorno tra l’Italia e la California. Un viaggio che non è proprio dietro l’angolo, oltre alle 9 ore di fuso orario e tanti sacrifici. E anche adesso il cammino continua: ogni anno farò un viaggio di circa una settimana per sottopormi a tutti quei controlli, esami e visite necessarie per monitorare la mia salute e permettere ai medici di studiare come evolve la malattia. Ma il tempo della speranza è ancora lungo.

Se tutto andrà bene, tra circa quattro anni potremo avere i primi segnali concreti sull’efficacia della terapia. E se anche quelli saranno positivi, allora dovremo attendere ancora altri dieci anni: intorno ai vent’anni si potrà davvero capire se ce l’abbiamo fatta, se questo nuovo gene è riuscito a integrarsi nel mio corpo e a cambiare il mio destino. E magari… anche quello di tanti altri bambini.

Oggi ci sono ancora tanti “se” e tanti “ma”, tante incertezze. Ma per adesso siamo sulla strada giusta. E io, insieme alla mia famiglia, non smetterò mai di lottare.

Un giorno, un genitore disse a mio papà: “Caro mio, quello che ti è capitato, per te e per la tua famiglia, sarà peggio di uno tsunami.” All’epoca lui non capii davvero cosa volesse dire. Gli sembrava un’esagerazione. Ma oggi, a distanza di anni, possiamo solo confermare che aveva ragione. Quando una malattia rara colpisce un figlio, non travolge solo il suo corpo, ma stravolge la vita di un’intera famiglia. Niente è più come prima. Il tempo si divide in “prima” e “dopo”. Ogni certezza crolla. Ogni giorno è una sfida. E sì, serve aiuto. Tanto aiuto. Di medici, di parenti, di amici, di sconosciuti che diventano fari in mezzo alla tempesta. Perché da soli, mantenere la rotta è quasi impossibile. Ma, anche nei tunnel più bui, c’è sempre un raggio di luce che passa. Questa esperienza ti cambia, ti spoglia del superfluo, e ti mostra i veri valori della vita. Scopri che ogni traguardo – anche il più piccolo, anche fosse solo un sorriso, una parola nuova, un passo in più – ha il potere di riempirti il cuore.

E quando vedi la felicità negli occhi di un figlio, capisci che ogni sacrificio ha avuto senso. Impari a vivere giorno per giorno, ad assaporare ciò che hai adesso, senza angosciarti per ciò che verrà. Impari a sorridere, anche nelle difficoltà. La strada è ancora lunga, sì. Ma gli studi e le ricerche non si fermano. E allora, voglio fare un appello: aiutate a sostenere la ricerca, sempre, in ogni forma. Perché un giorno, ne sono certo, anche malattie come questa potranno essere sconfitte.

Un abbraccio sincero, e… buona vita a tutti.

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